La scena si svolge nel cortile di un nobile edificio lombardo con le sue colonne, i fregi e le balaustre di pietra che adornano il loggiato del primo piano. La pavimentazione è composta da un prezioso gioco di tarsie marmoree policrome. Tutto è perfetto come se ci trovassimo in un cortile nel Quadrilatero della Moda o sul set di un servizio fotografico di AD.
In questa atmosfera ovattata che dà serenità e richiama alla mente la ricchezza e il benessere, legato alla colonna centrale del portico, vediamo Gesù Cristo. Superiamo l’aspetto religioso e analizziamo la scena.
La pura cattiveria, l’immonda perfidia. Gli aguzzini di Cristo evocano le scene più cruente di un film di Tarantino. Verghe, flagelli e staffili vengono utilizzati sul povero corpo, ma non solo: l’uomo in braghe rosse per poterlo colpire con più forza punta il piede contro la coscia del condannato e gli tira i capelli con
veemenza, quello dal turbante azzurro poi strattona la fune che lega il malcapitato quasi a volergli disarticolare le braccia, spezzare i polsi. Il tutto accade in questa atmosfera sospesa ed estremamente glam, come eleganti sono i vestiti dei disumani torturatori che sembrano danzare intorno alla colonna della flagellazione.
In disparte assiste alla scena Ponzio Pilato che ha inflitto la pena e dalla posa sembrerebbe pentito della sentenza emessa.
Un particolare ci sorprende nella pavimentazione marmorea; in asse col Cristo notiamo una croce. Tornando al torturato: è una maschera dolente ma sul suo corpo non ci sono tracce dei colpi patiti, normalmente siamo abituati a narrazioni di scantinati sudici, nascosti, dove si torturano gli avversari politici nei regimi dittatoriali. Qui invece la violenza perpetrata non ammette distrazioni, è l’elemento caotico nella perfetta geometria dello scenario.
- L’opera: Bernardo Zenale. Flagellazione. Castello Sforzesco Milano
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